venerdì 11 dicembre 2015

Il MAXIPROCESSO DI PALERMO



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Il maxiprocesso di Palermo è il nome con cui è ricordato 
il processo penale iniziato il 10 febbraio 1986 
e terminato il 16 dicembre 1987 a Palermo, 
tenuto nell’aula bunker 
dai giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone  
CONTRO 
Cosa nostra”, la mafia siciliana. 

È chiamato appunto maxiprocesso in quanto sono indagate più di 400 persone, per reati legati alla criminalità organizzata: associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di stupefacenti, decine di delitti 
e una serie di reati minori. 

Il verdetto complessivo ammonta a 19 ergastoli, tra cui Totò Riina e Bernardo Provenzano, 2665 anni di carcere, 11 miliardi e mezzo di lire di multe e 114 assoluzioni. 

Il maxiprocesso è reso possibile grazie alle rivelazioni di Tommaso Buscetta, detto il boss dei due mondi, che nel 1984, dopo l’estradizione dagli Stati Uniti, 
è il primo e più importante degli ex mafiosi che, 
per le rivelazioni che forniscono, vengono chiamati poi “collaboratori di giustizia” o più comunemente “pentiti”.

 Il maxiprocesso di Palermo è considerato 
come la prima reazione importate dello Stato,  
ed è in questa occasione che si afferma finalmente 
il reato di mafia: 
i giudici Falcone e Borsellino iniziano la lotta alla mafia semplicemente riconoscendone l’esistenza. 

Prima di loro l’omertà e la leggerezza sull’argomento permettono l’espandersi di Cosa nostra in ogni campo: dall’edilizia alla politica, dal traffico di stupefacenti 
al riciclaggio di denaro. 

Non manca tuttavia una forte e marcata ostilità da parte di molti componenti della magistratura palermitana, 
che spesso manifestano dubbi e critiche al maxiprocesso 
e ai suoi promotori.